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Bruxelles salva la pesca a strascico: altra vittoria contro l’ambiente del governo Meloni


Per l’intero 2025 i pescherecci italiani a strascico non dovranno ridurre i giorni di pesca. È questo il risultato ottenuto dall’Italia e un’altra manciata di Stati Membri a Bruxelles. «È la prima volta che l’Italia ottiene un simile successo», ha commentato soddisfatto il ministro dell’Agricoltura italiano, Francesco Lolloobrigida. La proposta iniziale prevedeva per l’Italia il 39% di riduzione dei giorni di pesca a strascico per il 2025 ma, grazie a un articolato pacchetto di misure di compensazione, l’Italia ha potuto in pratica annullare l’intero taglio proposto dalla Commissione, con il plauso di tutto le associazioni di categoria. Un traguardo però tutt’altro che positivo per l’ecosistema marino dato che la pesca a strascico, in quanto tecnica non selettiva, è in assoluto la più impattante sulla fauna e i fondali.

La decisione è stata presa dal Consiglio UE Agricoltura a seguito del raggiungimento di un accordo tra i ministri UE dell’Agricoltura, arrivato dopo giorni di intensi negoziati segnati dalle richieste di Italia, Francia e Spagna di limitare il taglio dei giorni di pesca nel Mediterraneo proposto dalla Commissione europea alla fine di novembre. Le riduzioni proposte dall’esecutivo UE saranno mantenute, in media -66% per i pescherecci a strascico, di cui -79% per la Spagna, -40% per la Francia e -39% per l’Italia, ma i Paesi potranno attuare una serie di misure per compensare queste riduzioni. Il che vale a dire che i giorni in cui i pescherecchi potranno operare mediante reti a strascico resterà invariato rispetto al 2024. L’accordo in particolare introduce dei meccanismi che consentono ai Paesi di continuare a pescare indisturbati se adottano alcune misure di gestione, come il miglioramento della dimensione delle maglie, le chiusure stagionali e gli attrezzi da pesca selettivi. Tuttavia, che l’adozione di tali misure mitighi effettivamente i danni della pesca a strascico è tutt’altro che accertato.

La pesca a strascico è una tecnica di pesca industriale che sfrutta grandi reti trainate sul fondo del mare o sospese nella colonna d’acqua. Tali reti sono spesso dotate di pesi per mantenerle a contatto con il fondale e possono essere lunghe centinaia di metri. Nella pesca a strascico demersale, le reti vengono trascinate direttamente sul fondale marino, catturando le cosiddette specie bentoniche, ovvero quelle che hanno rapporti con il fondo del mare, sia in maniera permanente che temporanea. Nella pesca a strascico pelagica, le reti vengono invece trascinate nella colonna d’acqua, senza toccare il fondale, per catturare pesci che vivono a mezz’acqua. In entrambi i casi le catture portano al prelievo di grandi quantità di esemplari ittici, ma nelle reti finiscono anche molte specie non bersaglio, che vengono rigettate a mare, spesso morte o ferite. Il movimento delle reti disturba inoltre i sedimenti marini, rilasciando il carbonio precedentemente immagazzinato nei fondali, al punto che ogni anno si stimano emissioni pari a 370 milioni di tonnellate di CO₂ causate da questa pratica. Nel complesso, come è noto già da decenni, la pesca a strascico ha un impatto profondamente distruttivo sugli ecosistemi marini, determinando direttamente l’alterazione degli habitat, delle reti alimentari, dei cicli naturali e, in definitiva, la riduzione della biodiversità. La stessa biodiversità, paradosso vuole, che è fondamentale per il mantenimento degli stock ittici tanto difesi dalla politica.

Si è stimato che nel Mediterraneo il 96% degli stock ittici sia sovrasfruttato e pescato principalmente utilizzando reti a strascico. In Europa, tra il 2015 e il 2023, sono state registrate 4,4 milioni di ore di pesca a strascico, anche in aree marine protette. Il risultato, senza mezzi termini, è che tra qualche decennio potrebbe non esserci più pesce da pescare. Se da un lato, nel breve periodo, la riduzione di tale pratica darebbe un bel colpo economico al settore ittico, dall’altro, rappresenta l’unica via per garantire la sostenibilità a lungo termine della pesca. E, si badi bene, sostenibilità non indica solamente la solita svolta “verde” tanto richiesta dall’Europa. In questo caso, sostenibilità è anche un termine tecnico che significa pescare quantità tali da permettere alle popolazioni biologiche di recuperare attraverso la riproduzione i numeri persi, quindi, di continuare a rappresentare delle risorse per l’umanità. Un concetto che tuttavia viene difficilmente afferrato, l’importante è difendere l’economia ora e ad ogni costo.

«Ogni anno – ha commentato ciecamente Lollobrigida – la Commissione Europea propone tagli che minacciano la sopravvivenza della flotta peschereccia, ma questa volta gli interessi della Nazione sono stati difesi con fermezza, dimostrando l’efficacia della strategia negoziale adottata. Le ragioni italiane sono state fatte valere in Europa, garantendo stabilità e prospettive di crescita a un comparto essenziale per l’economia». Una posizione che non guarda oltre e che contrasta con le stesse prospettive di crescita citate. Coerentemente con la linea politica ambientale dell’esecutivo Meloni, già l’anno scorso l’Italia era stato l’unico Paese UE ad opporsi all’eliminazione della pesca a strascico. “Ambientalismo non ideologico”, lo chiamano. Tradotto: l’ambiente va tutelato a patto che non interferisca in alcun modo con gli interessi economici ed industriali. Eppure a dire che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno all’ambiente non lo dice l’ambientalista di turno, bensì la nostra stessa Costituzione.

[di Simone Valeri]

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